Campagna di Sine Requie Anno XIII nel Sanctum Imperium (e non solo) conclusa...
...ma di tanto in tanto si ritorna indietro...

mercoledì 24 agosto 2011

Via dall’Algeria

Un Tuareg algerino

Il poto di Bou Ismail sulla costa algerina

L’Assassino

La notte dopo il colloquio con El Fertas i nostri si ritrovano nella capanna anche il giovane siculo Gaetano, il quale è riuscito con un espediente ad occultare nella sabbia alcuni robusti bastoni e propone una repentina evasione armata; altro non fosse, immersi in queste discussioni, alcuni dei nostri notano fortuitamente nelle ombre notturne aggirarsi una losca figura, probabilmente un silente assassino, mandato dal Visir di Algeri, acerrimo nemico del trombato Rais El Fertas per eliminarlo.
Al che il gruppo fuoriesce con la forza dalla capanna e insieme a Gaetano e ad alcune esterrefatte e assonnate guardie si accinge a fronteggiare l’oscuro criminale, già vicino alla tenda del Rais: il killer è completamente nero vestito, impugna una strana arma costituita da un lungo e affilato osso e in base alla sovrumana agilità mostrata, con grande probabilità, sembra essere un Morto.
L’assassino mutila il braccio di una guardia e ferisce molti altri fra i presenti ma anche grazie all’arrivo del Rais in persona,armato di sciabola, viene alla fine fatto a pezzi e bruciato.
Urge ora un rapido summit nella tenda del Fertas: egli non ha dubbi, il Morto era un assassino mandato dal Visir per ucciderlo. Ma il peggio è che saranno già in marcia molti dei suoi soldati per finire il compito iniziato dal Morto ed è quindi indispensabile che i nostri aiutino il Rais ad organizzare una disperata difesa del campo Al Ghoul, alla fine della quale, i superstiti, potranno ritenersi uomini liberi; inoltre il vecchio leone arabo affida la figlia Jamila a Gaetano e al gruppo affinchè venga portata sana e salva in territorio italico. A questo scopo spiega di avere un contatto fidato al porto di Bou Ismail, sulla costa algerina, tale Hassan, suo vecchio commilitone, il quale potrebbe consegnare loro un’imbarcazione per far rotta verso il Sanctum Imperium.

La Battaglia
Il gruppo ha quindi poche ore per organizzarsi: si dividono le insufficienti armi e protezioni a disposizione e ci si apposta sfruttando al meglio le scarse coperture offerte del campo.
Quando finalmente una quindicina di guardie del Visir algerino irrompono all’interno del campo i piani premeditati però saltano e si comincia quindi la più classica delle carneficine.
Muoiono molti uomini, da una parte e dall’altra ma alla fine il gruppo ha la meglio sugli invasori.
Il Rais però, pur avendo combattuto valorosamente, cade ferito a morte e dopo aver diviso oro e gioielli con i suoi uomini e con Jamila, spira, dopo un ultimo straziante commiato...

Bou Ismail
Ora i nostri si ritrovano con Gaetano, la ragazza e ben 12 cavalli: facendosi guidare dall’esperto siciliano, sfidano le dune del deserto algerino, direzione Bou Ismail.
Al secondo giorno di marcia, indeboliti dal caldo diurno e dal freddo notturno, oltre che dalla sete e dal vento sferzante, i nostri si imbattono in un nutrito gruppo di beduini Tuareg.
Costoro, comunicando in arabo con Jamila e con le poche parole comprese da Fratello Bartolomeo, si dimostrano abili nel commercio e propongono uno scambio “equo” al gruppo: la metà dei cavalli per avere salva la pelle.
Al che i nostri, rassegnati, ma sprezzanti del pericolo, iniziano una consona trattative e rilanciano promettendo di dare tutti i cavalli ai beduini se questi li scortano alle porte di Bou Ismail sani e salvi: a questo punto i Tuareg, nobili cavalieri del deserto, accettano più che volentieri.
Persi gli equini stremati ma giunti al porto, i nostri, fintisi guardie armate di Jamila, la quale deve comunque allungare alcune monete d’oro alle guardie cittadine per poter entrare tranquillamente, non faticano a trovare Hassan, il loro contatto e a rimediare l’imbarcazione promessa, un solido e spartano battello da pesca.

Mare Nostrum
Di nuovo in mare… il battello viene gestito da Gaetano e Jamila, uniche persone con alcune nozioni di navigazione e fa rotta verso le coste siciliane.
Dopo una giornata un brivido percorre la schiena di tutti: spunta all’orizzonte nuovamente lo sciabecco del pirata Musetto, ancora sulle loro tracce, insieme ad un altro sciabecco di supporto.
La situazione è critica ma questa volta il fato non condanna i nostri e giungono ben 3 galee dei Cavalieri di Malta in loro soccorso.
La battaglia è sanguinosa e vede affondare una nave da ambo le parti: a questo punto Musetto però decide che sia meglio fuggire e si allontana con vento favorevole.
I Templari di Malta accolgono a bordo il gruppo e dopo un lungo scambio di battute e di resoconti sugli avvenimenti degli ultimi giorni, si fa rotta verso l’ormai vicina Sicilia.
A bordo i templari maltesi consegnano al gruppo anche buona parte del loro equipaggiamento, rinvenuto qualche giorno prima su uno sciabecco della flotta del Califfo Yussuf, affondato nel Mediterraneo, il Mare Nostrum…

Ritorno a casa
Così, salutata la nuova coppia Gaetano – Jamila, che rimane in Sicilia, il gruppo fa rotta nella maniera più agiata possibile (in quanto la presenza riconosciuta dell’Inquisitore Bastiano ha sempre il suo peso) verso la romagna e Rimini, per tornare “a casa”.
Qui tra routine e racconti al Vescovo e ai vari ordini di tutte le peripezie subite, trascorre un mese abbondante.
Poi il Valentini convoca per l’ennesima volta il gruppo: una vecchia conoscenza, quel tale “mercante” al servizio della Chiesa di Roma, Francesco Montini, pare abbia nuovamente chiesto l’aiuto del gruppo al suo amico Vescovo di Rimini.
Pare infatti che sia inspiegabilmente sparita l’amata cugina del Padre Castigatore di Reggio Emilia, Don Eugenio Conti.
Si fissa dunque un appuntamento quanto prima in quel di Reggio Emilia, presso la chiesa di San Prospero, per avere tutte le informazioni del caso…

Il porto di attracco dei nostri in Sicilia

mercoledì 17 agosto 2011

Mari, deserti e sanguisughe

Veduta di Algeri

L'arrembaggio è ineluttabile: prima una bordata di palle da cannone che spezza un albero dell'inerme nave mercantile San Gerolamo, poi una selva di rampini fa in modo che i temibili pirati Morti si riversino dallo sciabecco sull'imbarcazione italiana in quantità esagerata.
Lo scontro è da subito cruento...
Fratello Benigno viene repentinamente colpito quasi mortalmente da un morso al collo e cade a terra privo di sensi.
Bartolomeo Leoni, in preda ai continui conati di vomito non è di grande aiuto sul ponte e se ne sta sotto coperta, per poi cadere ferito e tramortito a terra circondato da una mezza dozzina di assalitori, insieme al terrorizzato Ing. Timperi.
L'Inquisitore Bastiano guida con fervore i suoi Conversi all'attacco ma ben presto li vede perire sbranati da un gruppo di Atrox e Ferox... per arrendersi poco dopo egli stesso volontariamente, poi colpito alla nuca.
Il solo a reggere ben oltre misura è Fratello Michele da Bracciano il quale, con i fendenti del suo spadone, riesca a fare a pezzi un paio di Morti e a ferirne moti altri prima di rendersi conto di essere rimasto l'unico vivo in piedi, circondato da decine di Morti, poi anche lui tramortito e imprigionato.
Diverse ore dopo i nostri si ritrovano in una lercia stiva, nudi e incatenati, insieme a 4 marinai della San Gerolamo, unici sopravvissuti all'abbordaggio.
Dopo giorni di estenuante navigazione, fra privazioni igieniche e alimentari di ogni tipo, avendo anche intravisto la possibilità di un salvataggio da parte di una galea dei Cavalieri di Malta battente bandiera rosso crociata, svanito a causa dei venti più favorevoli ai saraceni, i nostri si accorgono di essere arrivati ad un porto: qui, sbarcati, si trovano calati in una realtà molto diversa da quella alla quale sono abituati, si rendono conto infatti di essere al porto di Algeri, città nord africana sotto il dominio negromantico del Califfo Yussuf.
Qui per le strade circolano più Morti che vivi e la situazione appare da subito di estrema gravità anche per il fatto che i nostri capiscono ben poco di quanto viene loro detto: solo Bartolomeo infatti ha qualche nozione di lingua araba.
In ogni caso vengono condotti a trascorrere una notte nelle luride carceri cittadine (mentre i 4 marinai vengono destinati come schiavi rematori sullo sciabecco di Musetto) per poi, l'alba successiva, essere fatti salire su un carro, destinazione chissà dove...
Dopo circa tre giorni di infernale tragitto desertico, il gruppo, sempre sotto scorta di Morti, viene fatto scendere in prossimità di una sorta di campo di prigionia: capiranno poco dopo di essere nel famigerato e temuto campo Al Ghoul, probabilmente il luogo più infausto di tutta l'Algeria.
Qui sono presenti diverse guardie armate capeggiate da un grasso uomo con turbante e sciabola, tale Ahmed Rais El Fertas, evidentemente un abile ex-combattente.
Il lavoro nel campo è semplice e mortale al tempo stesso, consiste nell'attraversare una pozza putrida lunga circa 30 m, piena di sanguisughe, farsele attaccare al corpo nudo e poi fare in modo che un cerusico con abili manovre di bisturi le stacchi e le raccolga per consegnarle ad uso medico del califfato: un prigioniero sottoposto ogni giorno a questa tortura rimane in vita dai 4 ai 6 mesi al massimo.
Passano le ore, i giorni...
Mentre i primi turni alla pozza vengono fatti con coraggio e fatica da Bastiano e Michele, gli altri fanno la conoscenza di 2 altri prigionieri, Gaetano (un giovane siciliano) e Salih Mahrez (un arabo). Il giovane siculo in particolare parla a lungo con Benigno il quale vede e viene a sapere della presenza della bella e giovane figlia di El Fertas, una ragazza quindicenne di nome Jamila, la quale, di buon cuore, porta the e altri generi di conforto ai poveri prigionieri: pare inoltre che il vecchio Rais sia stato vittima di giochi di potere ad Algeri e sia stato trombato ed esiliato al campo Al Ghoul... lui ormai ha a cuore solo la salvezza della figlia ma sa che nella situazione attuale potrebbe cadere vittima delle ire dei suoi numerosi nemici con estrema facilità, rischiando parecchio, quindi, sia per se sia per la figlia Jamilia...
Il giorno successivo muore il già provato Salih Mahrez nella pozza e il gruppo coglie l'occasione per chiedere di poter conferire con El Fertas il quale li riceve comodamente nella sua tenda: il vecchio leone del deserto, dopo aver ascoltato le proposte e i sensati ragionamenti dei nostri i quali propongono anche di portare Jamila con loro in Italia, non esclude del tutto la possibilità di un patto con i "guerrieri italiani" ma chiede loro di pazientare ancora qualche tempo... Ahmed Rais probabilmente ha bisogno di rifletterci ancora un po' su... del resto la fiducia va guadagnata con i fatti e non solo con le belle parole, pronunciate, fra l'altro, da bocche infedeli...

Uno scorcio del deserto algerino

venerdì 12 agosto 2011

Racconti di mare

Sul ponte del mercantile, durante la snervante e inesorabile attesa che lo sciabecco arabo vi abbordi, apprendete molte informazioni, discutendo con il vostro capitano e con i suoi esperti marinai, in merito al nemico, in rapido avvicinamento...

Il temibile Yussuf, Califfo di Granada, si interessò dello sviluppo di una flotta navale dopo aver instaurato un forte califfato in Spagna.
L’obiettivo che Yussuf aveva in mente era l’instaurazione di una base in Africa per utilizzarla come testa di ponte, in modo da allargare il proprio regno e poi attaccare Ramesse III, da lui considerato un infedele usurpatore.
Purtroppo la scarsità di petrolio non consentì il mantenimento delle moderne navi da guerra, quindi il Califfo costrinse gli schiavi umani a progettare e costruire navi da guerra medievali.
Dopo alcuni anni di progettazione e costruzioni, con l’aiuto dello spirito di un pirata saraceno, Mugehid Ibn Abdallah Al Amiri Al Muwafaqq, il Califfo fu in grado di armare una piccola flotta di navi veloci e ben equipaggiate per iniziare la conquista del Mediterraneo.
La ciurma di Mugehid è composta da schiavi umani costretti ai remi, usati anche come fonte di cibo, e da pirati Mortuus Maior, Atrox e Ferox.

MUGEHID IBN ABDALLAH AL AMIRI AL MUWAFAQQ (MUSETTO)
Noto in Italia come Musetto, fu un emiro e pirata saraceno. Aveva basi navali in molte coste del Mediterraneo, principalmente sul litorale spagnolo e nelle isole Baleari.
Nell’anno mille, dopo aver conquistato Torres e Alghero, con una spedizione che contava 110 navi e circa 10.000 uomini, si diresse verso l’Italia e distrusse Pisa, approfittando dell’assenza della flotta pisana, impegnata in una spedizione in Calabria.
Successivamente allestì una rete di pattuglie marittime che si dedicarono alla guerra di corsa nelle acque fra la Sardegna e la Corsica, nessuna nave riusciva ad attraversare indenne quei mari.
Ma lo spirito di vendetta da parte dei pisani non si era certo placato, e nella città toscana la sconfitta dell’abile pirata era considerata assolutamente necessaria.
Nel 1012 Mugehid subì la prima, parziale, sconfitta da parte dei pisani: una flotta di 120 navi attaccò Torres e distrusse la maggior parte delle navi pirata e solo grazie alla sua abilità il saraceno riuscì a fuggire. Musetto, per ora, era ancora libero, e ritornò a Torres non appena i pisani tornarono in patria.
La vendetta di Mugehid non si fece attendere molto, nel 1016 i pisani subirono il tremendo sacco di Luni, la popolazione fu annientata e la città letteralmente incenerita, tanto che ne rimane traccia solo nel nome della regione di cui era capoluogo, la Lunigiana.
La strage suscitò un’enorme impressione nella cristianità, e riuscì a far nascere immediatamente un'alleanza fra pisani, genovesi e Benedetto VIII; le truppe raggiunsero Luni e attaccarono da terra e dal mare.
Per una volta sorpreso dalla rapidità degli avversari al pirata non restò che combattere, ma le sue forze, inizialmente in superiorità numerica, vennero sconfitte dopo tre giorni di estenuanti combattimenti, venendo quasi completamente distrutte.
Il terribile Musetto riuscì a scamparla anche questa volta e riparò nuovamente a Torres, dove le cronache raccontano che fece crocifiggere molti abitanti locali per rappresaglia.
Inseguito da Pisani e Genovesi, stavolta si trovò addosso anche l'ira dei sardi che si sollevarono contro l’oppressore, i pirati furono sterminati, tuttavia il pirata riuscì ancora una volta a fuggire, con un manipolo di fedelissimi, verso l'Africa, nel suo dominio di Bona.
Musetto aveva così perso la sua base in Sardegna e subito pesantissime perdite in uomini e navi, ci vollero quindi ben 6 anni perché egli fosse di nuovo al comando di una flotta abbastanza potente, quando si sentì pronto mosse nuovamente verso la Sardegna.
Stavolta però i sardi avevano tenuto d’occhio Mugehid e, dopo aver organizzato una flotta pisana, sarda e genovese, diedero battaglia in mare aperto, sconfiggendo i saraceni.
Nuovamente rimasto senza flotta, l'inestinguibile Musetto ne ricostituì a tempo di record un'altra e subito si rilanciò, un po’ avventatamente, verso le coste toscane contro i suoi affezionati pisani, ma anche qui, nonostante la sorpresa, venne sconfitto e costretto alla fuga.
Il vento della fortuna di Musetto aveva ormai girato, i suoi piani di conquista del Tirreno erano ormai stati frustrati, e l’influenza di Pisa e Genova sempre più forte, nonostante questo egli rimaneva un temuto simbolo della potenza militare islamica, e le sue navi non cessarono di costituire un pericolo per le rotte commerciali cristiane.
Venuti a sapere che il pirata stava lentamente ricostruendo una flotta, nel 1044, pisani e sardi uniti sferrarono un mortale attacco congiunto alla sua roccaforte di Bona, per eliminarne definitivamente la minaccia.
Gli alleati, dopo un duro combattimento, distrussero la temibile flotta e invasero la città, Mugehid venne trovato in piena notte, trafitto a spada e decapitato, la sua testa venne issata sull’albero di maestra della nave ammiraglia dei sardi, e gettata in mare...

Dopo il Giorno del Giudizio, il Califfo di Granada riuscì a richiamare lo spirito di questo terribile pirata saraceno del XI secolo conosciuto in Italia come Musetto, stringendo un patto con lui: collaborazione per distruggere i faraoni in cambio della distruzione del Sanctum Imperium, che il pirata saraceno considera l’erede dei suoi nemici cristiani.
Musetto appare ora come un uomo imponente, con lunghi capelli neri e orecchini, folti baffi e barbetta, la pelle olivastra e vestito come uno sceicco arabo.
Lo spirito di Mugehid, animato da una volontà indomabile, costruì una piccola flotta di veloci navi a vela, radunò gli equipaggi e una cinquantina di Morti, dominati dal suo potere psichico, e attraversò il mare in piena notte, cogliendo di sorpresa le isole spagnole delle Baleari.
Il durissimo combattimento che seguì vide la distruzione delle forze che difendevano le isole, e un terribile saccheggio che ridusse tutto in macerie. Gli unici edifici che rimangono attualmente in piedi sono le fortezze più importanti, ricostruite completamente.
Dopo aver ripulito Algeri dai Morti, insediandovi un Mastino della Jihad e utilizzandola come base, Musetto distrusse Tunisi, poi volse la sua attenzione verso le coste del Sanctum Imperium.
Come sua abitudine, il pirata negli ultimi anni ha quindi iniziato a saggiare la potenza navale dell’avversario, attraverso diversi scontri con la flotta italica...

La nave di Musetto (Al Hataf)
L’audace Mugehid Ibn Abdallah, conosciuto dai cristiani come Musetto, si è fatto costruire una nave filante e molto manovrabile, adatta alle sue caratteristiche di combattente imprevedibile e mortalmente rapido.
Si tratta di uno sciabecco dal disegno classico, un tre alberi disegnato più per la velocità che per l’armamento o le capacità di carico.
Le ampie vele latine sono bianche, mentre lo scafo è dipinto con un color nocciola chiaro e le murate di verde, a poppa, unico ornamento, una scritta in oro laminato riporta il nome della nave, Al Hataf, La Morte.
Lunga 42 metri e larga 6 e mezzo, con un solo ponte, tre alberi e un lungo bompresso la nave di Musetto è in grado di raggiungere anche i venti nodi, in condizioni di vento teso, ma anche la più debole bava può spingerla a una discreta andatura.
Nessuna bandiera o insegna è issata sugli alberi durante la navigazione, solo durante i combattimenti un grande drappo verde viene alzato a poppa.
L’armamento è costituito da quattordici cannoni in bronzo da 64
libbre e da due colubrine caricate a mitraglia, con le quali viene spazzata la coperta delle navi avversarie prima di abbordarle.
L’equipaggio è formato da un centinaio di uomini scelti, uomini di mare che manovrano le ve le e governano la nave, ma, se necessario, partecipano alle razzie o agli abbordaggi.
A questi abili marinai vanno aggiunti quindici soldati della guardia personale di Musetto e trenta Morti, controllati mentalmente dal pirata saraceno, una temibile forza d’assalto in grado di seminare morte e distruzione tra i nemici...


(tratto dall'ambientazione "Mare Nostrum" scritta da Domenico Botti e Giampaolo Rai)

mercoledì 10 agosto 2011

Processi, polemiche e pirati

Palazzo Pitti, Firenze, sede del Tribunale Inquisitorio presieduto dal Santarosa

Il Duomo di Firenze, sede della messa solenne per la celebrazione di Padre Bastiano Inquisitore

I due templari, Benigno e Michele, vengono condotti, insieme ai “demoni” catturati vivi, dagli uomini del Ruina in quel del vescovado ravennate, così come là si ritrovano anche i tre esuli, Timperi, Rivolta e Bastiano, i quali oziavano al sepolcro del sommo poeta, avvisati da alcuni conversi, dopo aver ricevuto l’ordine di perquisire accuratamente la Villa delle Rose, teatro del tentato rituale blasfemo.
Qui vengono facilmente rinvenute prove di ogni tipo, come armi, tomi maledettamente proibiti e lettere di contatto con altri demonolatri… poi tutti al vescovado, dove ognuno spiega l’accaduto e riceve una parte della verità che gli altri conoscono: in pratica Fra Ruina consiglia caldamente di salire sul primo treno diretto a Firenze per spiegare tutta la faccenda al sommo Padre Ardizzone, il quale di certo vorrà condurre approfonditi interrogatori in merito…
Salutato il risoluto Inquisitore, il gruppo viaggia verso il capoluogo toscano in un treno speciale: tutti i vagoni sono sorvegliati da conversi e templari, i passeggeri sono esclusivamente importanti e misteriosi religiosi, fra i quali, frati gesuiti e domenicani oltre, ovviamente ai prigionieri.
Ravenna… poi Bologna (dove scendono alcuni gesuiti carichi apparentemente di molta carta stampata…) e in fine Firenze.
Qui i nostri apprendono subito una tragica notizia: il Maestro Laffì, l’alchimista, è stato brutalmente assassinato la notte scorsa (il gruppo in seguito verrà a conoscenza dei macabri dettagli del suo omicidio dallo stesso Frate Ardizzone, probabilmente un omicidio premeditato e rituale…).
Ma è tempo di spiegazioni, resoconti e processi, in quel dello Spedale degli Innocenti, sede di Ardizzone: egli si relaziona a lungo col gruppo in merito all’accaduto e comunica inoltre che a breve arriverà in città niente meno che il Grande Inquisitore Gregorio Santarosa da Roma, per presenziare o meglio, condurre direttamente le fasi finali degli interrogatori.
Durante gran parte della giornata seguente avvengono gli interrogatori presieduti da Ardizzone, ai quali i nostri presenziano solamente, con pochi interventi: è il vecchio domenicano a condurre ora le indagini e riesce con maestria oratoria a estorcere senza un uso eccessivo della violenza fisica molteplici informazioni ai membri della setta, la cosiddetta "Potestas Diaboli" (il regno del diavolo), in particolare al loro capo, Terenzio Belli, alias Maestro Belzebub, il quale è ormai un uomo finito e distrutto che ha a cuore solo la salvezza della sua bambina... che il Frate concede benignamente, a fine interrogatorio.
Il giorno seguente è festa grande in città: arriva in pompa magna Gregorio Santarosa, con una decina di uomini al seguito, fra conversi, notaio e alcuni boia.
Il sommo inquisitore si reca prima dal Vescovo fiorentino e poi colloquia a lungo con Padre Ardizzone, prendendo in mano in un colpo solo sia le redini del processo in corso sia, temporaneamente, quelle del potere dell’intera città.
Nonostante la malcelata delusione di Ardizzone per l’accaduto egli si adegua e il Santarosa decide di fare allestire in gran fretta un degno tribunale inquisitorio in quel di Palazzo Pitti, luogo da lui ritenuto più adeguato.
Qui sono invitati a presenziare anche i due Soci che hanno partecipato alle indagini, Bastiano e Leonardo: inoltre il Grande Inquisitore comunica con orgoglio che, viste le prodezze investigative dimostrate in particolare da Padre Bastiano, egli ha deciso di celebrare il giorno successivo una messa solenne per la sua investitura ufficiale a Inquisitore…una degna ricompensa per tutti gli sforzi compiuti dall’integerrimo Sotium al servizio di Santa Romana Chiesa.
Gli interrogatori condotti dal Santarosa e dai suoi uomini sono top secret, ma Bastiano racconterà nei giorni seguenti di sessioni svoltesi all’insegna della civiltà, della moderazione e soprattutto della misericordia… anzi, è probabile che coloro che non sono stati consegnati al rogo, giusta punizione, siano persino stati liberati e consegnati ad una vita di redenzione e lode al Signore… forse.
In ogni caso il giorno dopo avviene in quel del Duomo di Firenze, officiata sia da Ardizzone sia dallo stesso Santarosa, la solennità per la celebrazione del neo Inquisitore Bastiano, al quale oltre all’arma a motore che preferisce, verranno consegnati alcuni conversi, un notaio e il giovane Sotium, già, di fatto, suo discepolo, Leonardo Rivolta.
Il tutto, ovviamente fra l’acclamazione generale della folla e lo sdegno furioso dei suoi compagni templari, Michele e Benigno, i quali sono fra i pochi che conoscono la realtà dei fatti e vedono questa sorta di “promozione” del tutto illegittima e immeritata, ma del resto sanno bene come funziona la Santa, Santissima, Inquisizione… in ogni caso, dal canto loro, come tacita protesta, scelgono di non presenziare ne alla messa ne al successivo rogo dei membri della setta.
Con stati d’animo del tutto differenti e contrastanti, i nostri fanno ritorno (con viaggio spesato, ormai Bastiano è una celebrità…) via treno a Rimini.
In romagna ognuno torna per un po’ alle sue mansioni…
Alla Rocca Templare di Castel Sismondo, Michele consegna lo spadone del caduto e compianto fratello Remigio e presenta al Maestro Morandi il nuovo fidato compagno Fratello Benigno; Morandi inoltre informa i due che sta per arrivare in città un nuovo confratello, a cui il Vescovo Valentini ha consigliato di unirsi a loro. Si tratta di un taciturno e tenace Cavaliere dell’Ordine Teutonico, sorta di Ordine monastico parallelo ai templari, caratterizzato comunque dalla stessa fede nel Papa e nella Chiesa di Roma.
E infatti, il Teutonico arriva il giorno dopo e si presenta…
… così, tra ordinarie questioni e addestramenti vari, trascorre un altro mese, circa…
Finchè non giunge nuovamente la chiamata del Valentini: il gruppo, ormai celebre a livello nazionale, è stato fortemente voluto dal suo amico fraterno, il Vescovo di Genova, come scorta per una sua nave mercantile che da Genova deve arrivare fino al porto di Napoli, trasportando un importante carico di generi di prima necessità, libri teologici, materiale religioso e diverse casse di scudi papali.
Neanche a dirlo, i nostri accettano e salgono sul primo treno per Genova: qui passano qualche giorno a colloquio sia col Vescovo sia col capitano della nave e con i suoi marinai, apprendendo molte nozioni sulla situazione della marina del Sanctum Imperium, sulla spartizione delle acque del Mediterraneo e sui numerosi pericoli che vi si celano.
All’alba di pochi giorni dopo salpano: il mare è tranquillo, il clima ideale… ma nonostante ciò il Teutonico sembra oltremodo provato dal viaggio marittimo…
Fino a che, all’orizzonte, la vedetta scorge uno sciabecco battente bandiera verde, colorazione da subito ricondotta dai marinai a una nave probabilmente di fede islamica: si scatena il panico e solo grazie agli ordini impartiti con fermezza impassibile dall’esperto capitano, vecchio lupo di mare, e grazie anche alla figura autorevole e imponente di Fratello Michele, si scongiura il caos più totale e si torna all’ordine apparente.
Fatto sta che dopo un ora abbondante l’agile sciabecco arabo si è notevolmente avvicinato al lento mercantile italiano e l’ipotesi di un abbordaggio è solo questione di tempo; ma ora la vedetta scorge più chiaramente le scritte arabe sullo scafo della nave e vede chiaramente la bandiera…
Sono in molti a sostenere di non nutrire più dubbi su quella nefasta nave: pare essere la famigerata imbarcazione di MUGEHID IBN ABDALLAH AL AMIRI AL MUWAFAQQ, un famigerato pirata barbaresco noto in Italia con il soprannome più semplice di Musetto. La terribile particolarità è che egli era un pirata saraceno del XI secolo, ed ora è un potente Morto a capo della flotta dello spietato Califfo di Granada. Musetto, ovviamente, ha un odio innato per il Sanctum Imperium, antica terra di infedeli…

Mappa storica di Genova

Uno Sciabecco simile a quello del pirata saraceno Musetto

mercoledì 3 agosto 2011

L'appuntamento, il rito e l'irruzione

Piazza S. Francesco a Ravenna

Padre Bastiano torna dal suo raid a Rimini mentre Fratello Benigno e Michele si sono recati a parlare col locale distaccamento dei Cavalieri del Tempio; alla fine, dopo 2 gg, il gruppo si riunisce e si appresta a presentarsi al fatidico appuntamento in piazza S. Francesco a Ravenna, ore 20, 30.
Ripassate le istruzioni rituali contenute nella “Pseudomonarchia dei Demoni” i nostri si organizzano come segue: Bastiano e Rivolta si apposteranno ai margini della piazza per tenere sotto controllo la situazione dall’esterno; l’ing. Timperi indossa i gemelli incriminati e si porta la maschera di Astarotte, Michele quella di Malacoda e Benigno quella di Baal. Si fanno le 20, 30… niente… sale il nervosismo… alle 20, 45 un tizio chiede di accendere a Timperi, poi se ne va… poi ancora niente… dubbi… ma alle 20, 50, finalmente giunge una bimba che chiede a Benigno se vuole diventare suo papà. Il Templare, sotto mentite spoglie di adepto della setta, risponde “sarai carne di mia carne”, come indicato nel libro oscuro, la bimba sorride e si incammina verso l’ipotetico luogo del rituale blasfemo. E poi accade l’inghippo: mentre fratello Michele pensa bene di seguire, seppur a distanza, l’amico templare, l’ing. Timperi, purtroppo, si perde le tracce lasciate dai compagni e rimane irrimediabilmente al di fuori dell’incursione, insieme ai due Soci Inquisitori.
Invece Benigno e poco dopo Michele giungono dopo una contorta camminata di circa mezzora presso una lussuosa villa con giradino; vengono condotti all’interno da un usciere armato e viene detto loro di indossare le rispettive maschere demoniache e di attendere di essere condotti in un altro salone al cospetto degli altri “demoni” presenti.
Pochi minuti dopo si presenta al cospetto dei 2 tesi templari un elegante uomo indossante la maschera del demone Oze, li saluta secondo i canoni rituali e li conduce presso la stanza adiacente dove lo spettacolo che i due frati infiltrati vedono è, per loro, a dir poco sconcertante: sono qui presenti 8 “demoni” che si intrattengono nelle attività più blasfeme e lussuriose… alcuni sono nudi o semi nudi e fanno sesso promiscuamente senza alcun pudore o ritegno… altri si infervorano pronunciando le più turpi bestemmie contro il Papa e la Chiesa in genere… un continuo martellamento blasfemo che indubbiamente turba e fa vacillare più volte la copertura dei nostri, i quali certamente, dopo quanto visto e sentito, vorrebbero mettere a ferro e fuoco la villa e ognuno dei presenti...
Ma dopo l’ennesimo tentennamento di Benigno alle istigazioni e alle provocazioni lussuriose della bella, ubriaca e nuda demone Decarabia sono in molti nella sala a iniziare a sospettare… fino a che, con uno sforzo enorme, il templare non riesce a cedere in minima parte alle tentazioni della giovane, tranquillizzando gli altri demoni, anche grazie alle parole indovinate di fratello Michele che li tiene a bada… ma durante gli atti lussuriosi, forse in preda anche al timore e allo sgomento, il povero fratello Benigno ha una sorta di “visione”, strana e incomprensibile, che lo segna e lo turba in maniera duratura e permanente…
Arriva, tra mille altre blasfemie, la mezzanotte ed il branco di demoni viene invitato alla stanza attigua, sede del rito vero e proprio: qui è presente il gran cerimoniere, Maestro Belzebub, armato di pugnale decorato con testa di caprone... dopo una breve introduzione, saluti, interrogazioni e litanie ad hoc, dove viene brevemente ribadito ed enfatizzato che il rito servirà per aprire una sorta di passaggio per gli inferi, il Maestro fa entrare una bambina, con maschera di angelo sanguinante e la fa stendere su una sorta di altare.
Sembra palese ai due templari che il Belzebub stia per sacrificare la ragazzina e quindi, in maniera coraggiosa ma molto avventata, disarmati e in minoranza schiacciante, i due prodi Cavalieri del Tempio mollano la copertura e decidono di intervenire: Benigno aggredisce l’unica guardia armata alla porta della stanza mentre Michele si avvicina al Maestro e tenta di disarmarlo.
E’ palese che il tentativo fallisce miseramente e i due vengono presto sopraffatti, tramortiti e perdono conoscenza…
Nel frattempo il Timperi e i due Soci decidono, apparentemente senza alcun motivo valido, di recarsi al sepolcro di Dante, il sommo poeta…
E le ore passano…
I due templari si risvegliano legati e nudi rinchiusi in uno sgabuzzino della villa… ma sentono rumori di battaglia… ad un tratto alcuni nerboruti uomini, vestiti con drappi neri, museruole sul volto e con al collo una specie di rosario che sembra quasi un cappio, armati fino ai denti, li prelevano e li conducono fuori… nel tragitto i due Fratelli templari vedono che nella villa si è consumata uno scontro cruento, una carneficina, molti sono i mutilati e i feriti fra i “demoni”… e in mezzo a tutto ciò si erge la figura inequivocabile di un Magister Inquisitore, vestito color porpora, basso e calvo ma atletico, che brandisce un Requiem a motore e da ordini a voce alta in italiano e in latino…

La Villa sede del rituale